Riporto qui un interessante articolo sullo stato attuale dell’editoria italiana:
http://www.kultural.eu/component/content/article/940-carta-straccia
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Si prega di firmare la petizione a favore della permanenza dell’Italia in Europa e nell’Euro
Venerdì 10 agosto la lira turca ha subito un deprezzamento del 20 % in una sola giornata. A partire da gennaio 2018, il deprezzamento è pari a ca. il 45 %.
A far scattare il panico dei mercati nei confronti della lira turca è stato l’annuncio del presidente americano Trump di voler aumentare dal 25 al 50 % i dazi sull’acciaio e l’alluminio turco. Sempre venerdì, i Credit Default Swaps sulla Turchia sono aumentati da 60 a 400 punti.
Il calo della lira turca sta proseguendo anche lunedì 13 agosto, e questi ne sono i motivi a lungo termine.
La Turchia è un paese appartenente alla NATO e non è un paese povero. Ha circa 80 milioni di abitanti e tassi di crescita che fino al 2017 erano assestati sul 7 %. Una crescita molto superiore a quella dei paesi UE.
Tale crescita è però stata alimentata da molti crediti concessi dalle banche europee alla Turchia, sia al settore industriale e commerciale che al settore edile e privato. Questi crediti sono andati non soltanto a finanziare la crescita, ma anche un boom edilizio non produttivo.
I maggiori crediti sono stati concessi dalle banche spagnole, che sono esposte per circa 80 miliardi, quindi da quelle francesi, esposte per 38 miliardi, seguite da banche inglesi, tedesche e italiane, esposte per circa 20 miliardi ciascuna.
Con tali tassi di crescita, l’economia turca è surriscaldata, il che si rispecchia sull’inflazione, che è di circa il 15 % (a differenza del 2 % dei paesi UE).
Secondo la teoria classica, di fronte ad una tale inflazione la banca centrale turca dovrebbe aumentare i tassi di interesse (che sono già pari al 17 %). Ma nell’ultima seduta di luglio la banca centrale non ha aumentato i tassi. Si ricordi che, dopo la riforma che ha aumentato i poteri del presidente Erdogan, la banca centrale turca non è indipendente.
La Turchia presenta anche debolezze macroeconomiche, come un disavanzo della bilancia commerciale pari al 6 % del PIL ed un indebitamento estero pari al 53 % del PIL.
Tutto questo ha sicuramente causato il calo di fiducia da parte dei mercati. Ma dietro il crollo della lira turca c’è di più.
Il problema è costituito dal fatto che la Turchia non ha sovranità monetaria, ed è quindi facile oggetto di speculazione da parte dei mercati.
Sovranità monetaria significa avere una valuta accettata in tutto il mondo come mezzo di pagamento e usata come valuta di riserva. Significa potere indebitarsi nella propria valuta.
La lira turca non è una valuta di riserva, con cui per es. si possano acquistare risorse come il petrolio o l’oro. I titoli di stato turchi non vengono acquistati a scopo di investimento. Quando un’impresa turca accende un mutuo, il mutuo viene normalmente erogato in dollari o in euro.
La Turchia non può indebitarsi nella sua stessa valuta, a differenza dei paesi UE e degli USA.
Anche se un paese altamente popolato e presenta ottimi tassi di crescita, il fatto di non potere indebitarsi nella sua stessa valuta la rende vulnerabile.
(Queste considerazioni siano di monito a coloro che predicano un’uscita dall’euro e un ritorno alla lira in Italia.))
Ma perché la Turchia ha scatenato le ire degli Stati Uniti, che hanno probabilmente innescato la speculazione contro la lira turca?
La Turchia ha una posizione strategica nel Mediterrano, e inoltre confina con la Sira e con l’Iraq.
Nella guerra siriana, essa ha preso posizione a fianco della Russia e dell’Iran, che appoggiano il regime di Assad.
La Turchia importa petrolio dall’Iran e ha già affermato di non voler partecipare alle sanzioni USA che, a partire dal novembre 2018, vieteranno l’acquisto del petrolio iraniano.